DNIPRO – Sulla differenza tra est e ovest dell’Ucraina si sono scritte tante pagine che ci si potrebbe tapezzare l’intera nazione. In effetti l’Ucraina è attraversata da una spaccatura, segnata dal fiume Dnipro, che metterebbe sulla sponda destra l’Ucraina più filoeuropea e su quella sinistra quella filorussa. Quando arriviamo a Dnipro con Giovanni Kessler di EUcraina l’obiettivo è di consegnare al sindaco della città la gran parte dei generatori e degli altri beni raccolti dall’associazione. Ma prima ancora di entrare in contatto con gli abitanti è chiaro che qui le cose sono molto diverse da Kyiv. La città, un milione di abitanti nel cuore dell’Ucraina, è appoggiata al fiume e accoglie i viaggiatori con un gigantesco impianto metallurgico, per poi accompagnarli fino al centro con una processione di caseggiati in cemento e larghi viali. Niente è più vecchio di settant’anni, il passato sovietico si respira nell’aria, e l’influenza russa si sente quando si scambiano le prime parole con gli abitanti, che ti salutano e ti ringraziano in russo e non in ucraino.

Panorama di Dnipro – di Giorgio Tomassetti – (CC BY-SA 2.0)

Per fortuna le cose sono sempre più complesse di come le vorrebbero la geografia o i libri di storia. Così, appena arrivati incontriamo Artyom, uomo della municipalità che ha organizzato l’incontro con il sindaco. Parla russo, vive da sempre a Dnipro, in teoria dovrebbe essere un esponente di quella società russofona che Putin dice di voler liberare a suon di bombe. Artyom però ci dice che dopo il 24 febbraio la sua vita è completamente cambiata, prima con l’arruolamento volontario nella Guardia civile, poi con un ruolo più adatto alla sua posizione, quello di supporto logistico per i soldati ucraini che lui chiama “i nostri ragazzi”: “Raccolgo materiali, indumenti, equipaggiamenti – ci racconta – so dove trovarli, come spedirli ai nostri ragazzi, quali sono i fondi del nostro bilancio che posso spendere a questo scopo”.

Poco dopo fa qualcosa che in questo periodo gli ucraini fanno spesso, ci mostra dei video sul telefonino per dirci che questa è una storia personale, di uomini e donne con relazioni e sentimenti, non di entità astratte. Nelle immagini si vedono dei soldati in tenuta da combattimento appena dopo un’imboscata a un carro russo. Artyom ci dice che sono suoi amici e che lui ha trovato un fucile di precisione per uno di loro perché è molto bravo, e alla domanda se siano gente che lui conosce ci tiene a sottolineare: “Non gente che conosco: amici. Siamo cresciuti insieme.”

In che modo poi tutte queste storie si uniscano nel dramma e nell’orgoglio collettivo della guerra lo raccontano altri due incontri. Il primo, quello con il sindaco di Dnipro Boris Filatov. Modi schietti, abbigliamento militare, ci accoglie in un palazzo deserto che all’ingresso espone una fila di bandiere dell’Ucraina e dell’Unione Europea. Ringrazia la generosità dei donatori per i materiali che Eucraina consegna alla città, poi ci tiene a parlare dell’importanza degli enti locali: “So che il Trentino ha un’autonomia speciale – dice Filatov – e vorrei che l’Ucraina imparasse da questo. Saremmo onorati di sviluppare una relazione speciale con il Trentino, facendo nascere qualcosa di duraturo a partire da questo incontro con Eucraina”. Ma sono le considerazioni sulla guerra le parole con cui il sindaco di Dnipro conclude l’incontro: “Non è facile vivere in un libro di storia, ma gli ucraini sono proprio lì, tra le pagine della storia”.

Incontro con il sindaco di Dnipro, Borys Filatov

Il secondo incontro è quello con Sergey, che andiamo a trovare nella sua casa la mattina di Natale. L’edificio in legno si trova proprio di fronte la Pivdenmash, fabbrica di razzi di era sovietica ancora in attività e dunque obiettivo militare dei russi, che l’hanno attaccata con un missile a metà novembre. A parte qualche graffio la fabbrica è rimasta illesa, mentre l’onda di scoppio ha travolto la casa di Sergey. Schegge di vetro conficcate al muro, porte staccate dai cardini, il tetto del tutto sbriciolato e infradicito. Sergey ci mostra i video e le foto dei giorni successivi all’attacco. Di nuovo la guerra che diventa una storia di persone: “Dormivo con due giubotti addosso perché c’erano zero gradi e ancora non sapevo dove andare – ci racconta Sergey mostrandoci le foto – il giorno in cui potevo mettere solo un giubotto era una bella giornata”. La mattina di Natale Sergey la passa ricostruendo la sua casa e mostrandola ai visitatori di fuori. Non parla una parola di inglese o di altre lingue, ma vuole che la sua storia non si fermi qui, nel cuore dell’Ucraina.

 

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