KYIV – Chi pensa che esistano linee nette tra luoghi e persone sarebbe smentito da un semplice viaggio in auto. Quello che da Trento attraversa mezza Europa per arrivare a Kyiv è un filo lunghissimo che passa da nazioni che per secoli si sono guardate come nemiche, a causa più della politica che di sentimenti di ostilità tra i popoli. Attraversare questi posti con Eucraina, l’associazione trentina che in questi giorni sta portando generatori, lampade, coperte e indumenti termici a Dnipro, Odessa e in un villaggio a nord di Kyiv, è come vedere l’Europa com’è e come vorrebbe essere. Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia si attraversano senza intoppi, con un sorriso accennato di una guardia di confine ceca quando guarda il passaporto italiano. Non c’è neanche il disturbo del cambio di rete cellulare, si continua a comunicare esattamente come quando si è a casa.
Sul confine ucraino le cose si fanno in teoria più difficili, si materializza la burocrazia sotto forma di barriere, minacciosi gabbiotti per il controllo passaporti, percorsi obbligati, lunghe code di camion e auto in attesa di passare una recinzione stesa in mezzo a campi innevati, sempre uguali per centinaia di chilometri. Anche qui però le persone hanno la meglio sulla politica: quando diciamo che arriviamo dall’Italia per portare aiuti alle città ucraine le facce si distendono, i controlli vanno veloci, i doganieri ti augurano buona fortuna e ti lasciano passare.
Dall’altra parte del confine ci attende il buio delle immense foreste ucraine, punteggiato da villaggi minuscoli e male illuminati. Il motivo per cui siamo qui con il presidente di Eucraina Giovanni Kessler è legato proprio al buio: chi comanda in Russia ha deciso di prendersi l’Ucraina e di relegarla al ruolo di periferia dell’impero. Ma tra i piani neocoloniali e la loro realizzazione si è messa di mezzo la tenacia dell’intero popolo ucraino, che la Russia cerca di smontare bombardando le infrastrutture energetiche e lasciando senza luce, calore, elettricità, comunicazioni gli ucraini. Eucraina è qui per accendere una candela. Per permettere agli ucraini di scaldarsi, e per dire loro che non sono rimasti soli.
Lviv
Finora il buio non ha vinto. Si capisce benissimo a Lviv, prima tappa del nostro viaggio, dove a portare i segni della guerra sono i monumenti fasciati
in impalcature protettive più che le persone. Le quali sono in strada, girano per negozi, riempiono i caffè. Anche al buio, non accettano il ricatto di chi li vorrebbe militarizzati e incattiviti. Soprattutto ci tengono a parlare con gli stranieri che incontrano per strada, attaccano bottone, chiedono. È un altro dei fili che si dipana in questa guerra, quello della comunicazione. Anche al buio, al freddo, incapaci di muoversi, l’ultimo appiglio di ogni persona è quello della circolazione di storie e notizie. Fare sapere al mondo quello che sta succedendo, sapere che il mondo è a conoscenza e sta facendo qualcosa. Tra gli oggetti che Eucraina sta portando a un’associazione amica di Kyiv infatti ci sono anche due sistemi di comunicazione satellitare Starlink, che permettono di comunicare anche quando, come in questi giorni, le reti cellulari sono inaffidabili a causa dei blackout.
Kyiv
Quando arriviamo a Kyiv la città è spettrale e austera. Nei giganteschi quartieri di condomini c’è una finestra accesa ogni venti. L’illuminazione pubblica è ridotta al minimo e il suono dei generatori scandisce le passeggiate.
Monumenti bellissimi come la Cattedrale di Santa Sofia diventano ombre, le persone scivolano silenziose tra i marciapiedi. Ma per quanto gli abitanti di Kyiv siano un po’ più cauti di chi vive a Lviv sono ben lontani
dall’essersi scoraggiati. Incontriamo Antonina, attivista dell’associazione anticorruzione ANTAC a cui consegneremo gli Starlink, e ci dice “Certo, siamo a disagio ma la gente a Bakhmut vive molto peggio. Io almeno posso dormire nel mio letto”.
Si attende che succeda qualcosa, tra le strade di Kyiv. Tra poco sarà il primo dei due giorni di Natale che si celebrano in Ucraina, che fino a pochi anni fa celebrava il natale ortodosso il 7 gennaio ma nel 2017 ha decretato che anche il 25 dicembre è festa nazionale, come strategia per avvicinarsi all’Unione Europea. In mezzo c’è il capodanno, ma su nessuna di queste feste c’è sicurezza. Ci racconta ancora Antonina: “C’è poca voglia di celebrare quest’anno, con tutto quello che è successo. Non solo è ancora in vigore il coprifuoco, che rende difficile qualsiasi festeggiamento a tarda notte, ma ormai tutti conoscono qualcuno che ha perso un suo caro in guerra”.