SUMY – Fine dell’anno che ha cambiato tutto per l’Ucraina. A Dnipro le persone iniziano a sparire dalle strade già subito dopo il buio, intorno alle quattro del pomeriggio. Si chiudono in casa per festeggiare in famiglia o vanno a passare la notte da amici, o ancora cenano nei pochi ristoranti rimasti aperti per poi andare a casa molto presto. Il coprifuoco impedisce qualsiasi festa, l’illuminazione manca in tutte le strade e si attende un attacco russo proprio per la notte di San Silvestro. Non c’è molta voglia di festeggiare.

Questo non significa però che la normalità sia perduta. Si vede dall’attaccamento ai rituali, alla quotidianità. Ci si veste bene anche per un cenone che finisce alle nove di sera, si cerca di stare il più possibile con parenti e amici. Tutto il paese si raccoglie davanti a un televisore o allo schermo di uno smartphone per guardare il discorso del presidente Volodymyr Zelensky, che fa il suo augurio a tutti gli ucraini: “Che quest’anno sia l’anno del ritorno. Il ritorno del nostro popolo. I guerrieri alle loro famiglie. I prigionieri alle loro case. Gli sfollati interni alla loro Ucraina. Restituzione delle nostre terre. E chi è temporaneamente occupato sarà libero per sempre”.

La stessa cosa, poche ore prima, la dice anche Daria. Diciassettenne, rasta lunghissimi neri e rossi, insieme alla madre Caterina è l’anima della sezione ucraina di Taps, ong americana che fornisce assistenza a chi perde familiari in guerra. Alla domanda su cosa sia cambiato nell’umore delle persone rispetto al febbraio del 2022 Daria risponde: “Allora la gente pensava solo a sopravvivere, oggi invece ha il sogno di avere qualcosa dopo la vittoria. Alcuni stanno pensando a costruire, o ricostruire, la propria casa. Molte persone hanno anche capito che bisogna istituire dei tribunali, per i fatti non solo del 2022 ma anche del 2014”. Gli ucraini, racconta sempre Daria, si sono trovati uniti in questa guerra molto più che all’inizio della crisi nel Donbas: “A differenza del 2014, quando per alcuni la guerra era un fatto lontano che succedeva solo nell’est, quest’anno tutti si sentono davvero in guerra. Sono tutti coinvolti e accettano anche qualche disagio, come rimanere senza luce per giorni”.

Non sempre è facile. Caterina, la madre di Daria, parla di alti e bassi emotivi, di giornate in cui ci si sente combattivi e altre in cui si è esausti. Anche questo saliscendi fa parte della vita quotidiana della guerra, e Caterina cita un proverbio ucraino adatto a quando le cose sembrano virare al nero: “Se non puoi fare dei piccoli passi, cerca almeno di stenderti nella giusta direzione”.

Il primo giorno dell’anno le strade del nordest dell’Ucraina sono semivuote. Ci si rende conto di essere arrivati in una zona più delicata quando, a nord di Kharkiv, i checkpoint si fanno molto più frequenti e i soldati diventano più attenti, controllando ogni volta i documenti. Qui la Russia è vicina e in febbraio sono arrivati i carri armati, i soldati e i combattimenti strada per strada. I villaggi sono puntellati da case distrutte dall’artiglieria, ponti caduti, distributori di benzina esplosi, facciate in cemento con rosate di proiettili.

A Sumy i russi sono arrivati alla periferia ma sono stati ricacciati indietro dopo combattimenti furiosi. Qui il primo giorno dell’anno la gente passeggia per strada, si affolla in un piccolo mercatino per bere e mangiare oppure si raccoglie a piccoli gruppi nella Cattedrale della Trasfigurazione per la liturgia. Anche qui bisogno di normalità, e se non ci fosse il buio lì fuori non si noterebbe nulla di strano.

Olga, inglese perfetto e sorriso contagioso, quando arrivarono i russi è scappata in Svezia. Poi è tornata: “Voglio vivere qui”, dice semplicemente. Suo padre è di Kherson e vive ancora lì, sotto i tiri d’artiglieria con cui ogni giorno i russi bersagliano la città. Olga gli ha detto di andarla a trovare a Sumy, anche solo per le vacanze, ma lui non vuole: “Ha paura della normalità, dopo non tornerebbe più a Kherson”.

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