In questa parte del mondo, spesso i nomi delle città seguono e segnalano i cambiamenti della storia, dei confini, del dominatore. È il caso di Dnipro. Fondata nel 1700 dall’imperatrice russa Caterina la Grande con il nome di Yekaterinoslav, è posta a capitale della regione della ‘Nuova Russia’. Nell’Unione Sovietica prende il nome di Dnipropetrovsk, in onore dell’allora segretario del partito comunista ucraino, Grigory Petrovsky, tristemente famoso per il suo coinvolgimento nell’Holodomor, la terribile carestia indotta che negli anni ’30 fece almeno tre milioni di vittime nell’Ucraina ricca di frumento. Nell’Ucraina indipendente, dopo la ‘Rivoluzione della Dignità’ di Maidan, la città si scrolla di dosso quell’eredità e cambia il nome in Dnipro, come il fiume che la attraversa e intorno al quale si è sviluppata.

Con le associazioni a DNIPRO

Per la sua posizione, equidistante da Kyiv e dai principali campi di battaglia della guerra, – Donetsk, Mariupol, Kherson e Kharkiv si trovano tutte nel raggio di 300 chilometri – dopo l’invasione russa è divenuta un centro strategico fondamentale sia per la difesa dell’Ucraina, sia per l’accoglienza dei profughi e dei feriti dal fronte e dalle zone occupate.

Ce ne parla, con preoccupazione ma anche con orgoglio, Il giovane vicesindaco Aleksander Sanzhara, pilota civile di aereo, nell’anonimo edifico dove ora si è trasferita l’amministrazione comunale. Per ‘ragioni di sicurezza’, cioè per scampare ai bombardamenti russi, già dai primi giorni di guerra tutte le principali amministrazioni civili e militari, a Dnipro come altrove, hanno lasciato le loro sedi. Prima dell’incontro chiedono di non filmare né dare alcun riferimento per la localizzazione.

“Fin dall’inizio dell’invasione -dice Alexander- abbiamo dato ospitalità a profughi dalle cinque regioni confinanti invase dai russi. Circa 200.000 persone in fuga dalla guerra sono arrivate a Dnipro, spesso con i soli vestiti che indossavano. Abbiamo avuto un grande lavoro di sostegno e accoglienza, non ancora finito; molti hanno continuato verso la più sicura Ucraina occidentale, chi ha potuto è andato all’estero; tanti sono rimasti e li ospitiamo e aiutiamo ad avere una nuova vita qui. Ci hanno molto aiutato organizzazioni internazionali come UNICEF e Croce Rossa e fondamentale è stato ed è il lavoro della società civile che si è mobilitata spontaneamente e con grande efficienza”.

La posizione di Dnipro, prima grande città dietro la linea del fronte, la fa divenire anche il più importante centro hub militare dell’Ucraina. Qui c’è il Quartier Generale militare per le regioni del Donetsk e di Lugansk. Dnipro è anche la sede dell’industria missilistica ucraina. Ce n’è abbastanza per farla diventare un obiettivo strategico per i russi. “Le prime settimane sono state molto difficili. Abbiamo subito molti bombardamenti, la nostra gente era stremata; poi ‘solo’ una trentina di attacchi.” Ma i segni del recente bombardamento missilistico sono ancora ben visibili nel centro della città.

“A Dnipro la gente è molto unita, vuole la fine della guerra e la guerra finirà solo con la nostra vittoria.” continua Alexander “Nel 2014 anche a Dnipro abbiamo dimostrato concretamente che vogliamo fare parte dell’Europa e non vogliamo essere come in Russia o Bielorussia, come avrebbe voluto invece Yanukovich [allora presidente]. Noi ucraini vogliamo essere liberi, come i cosacchi che vivevano in questa regione. A differenza della Russia e dell’impero Ottomano, nella nostra storia non abbiamo mai avuto schiavi. Per questo oggi combattiamo”.

Ci affrettiamo alla biblioteca cittadina, intitolata al senatore americano John McCain, che era grande amico della città. Ora serve da centro di informazione e aiuto amministrativo ai rifugiati in città. Ci aspettano lì una ventina di volontari delle associazioni cittadine. Hanno saputo che dall’Italia venivano degli amici dell’Ucraina, vogliono conoscerci e parlarci. È un incontro carico di emozioni. La prima a parlare è Elena, legge in italiano il suo discorso di benvenuto. Fa parte di un’associazione che dal 2014 aiuta i bambini che devono lasciare casa a causa della guerra. “Grazie di essere qui! Grazie per avere accolto i nostri bambini in Italia”. Si riferisce in particolare alle Marche. “È la prima volta che degli italiani vengono a trovarci a Dnipro” dice mentre la voce le si spezza.

Tutti vogliono prendere la parola, per raccontare, far conoscere le situazioni di cui si occupano e quello che loro cercano di fare. E subito veniamo confrontati con le situazioni più dure. Irina ci parla della situazione dei civili ucraini nei territori occupati fatti prigionieri dai russi. “Sono almeno 2.000 persone, prelevate nelle loro abitazioni o sul posto di lavoro nei primi dell’occupazione. Persone ritenute politicamente pericolose o inaffidabili dai russi. Sono portati e imprigionati in Russia, senza uno status, senza diritti. Difficili o impossibili i collegamenti con le famiglie. Cerchiamo di fare quel poco che possiamo. Forse la Croce Rossa ci può aiutare.”

Natalia è una poetessa. Con la sua associazione si occupa da anni dell’aiuto alle donne vittime di violenza domestica e ora dell’aiuto alle donne violentate dagli invasori. “È una situazione diffusa. Nelle zone di Bucha e Chernobyl ci sono molti casi anche di bambine e di anziane ottantenni violate. Accogliamo queste donne, diamo loro un luogo in cui vivere, assistenza medica, psicologica e legale. Collaboriamo con il Procuratore Generale per la raccolta di prove di questi crimini di guerra. Ci aiutano l’associazione ucraina 100% Life e la fondazione Soros”.

Daria, con l’associazione TAPS dà sostegno alle famiglie dei caduti in guerra. “Aiutate il nostro esercito! Avremo meno vittime e meno necessità di sostegno alle loro famiglie”. Anche Volodimir, che con la sua associazione aiuta le persone scappate dalla guerra, ci parla dei soldati. “Noi ucraini difendiamo casa nostra. I russi ci uccidono perché non vogliamo vivere come loro. Partecipiamo alla difesa inviando lettere di solidarietà, sostegno morale, cibo e altri beni ai soldati al fronte”. Lo stesso fanno Karyna e suo marito Stepan, spontaneamente. Raccogliendo quello che serve e portandolo direttamente al fronte. “Abbiamo bisogno di reti da pescatore e di tessuto, ora bianco per l’inverno, dice Anna, dell’associazione ‘Angeli della difesa’. Non ne troviamo più e ci servono per fare le reti di mascheramento che servono tanto ai nostri soldati.”

Mentre parlano mi vengono alla mente i rifiuti ricevuti quando con l’associazione EUcraina ho chiesto contributi e aiuto in Italia per portare veicoli ed equipaggiamento ai civili della difesa territoriale ucraina. “Solo aiuti umanitari”, mi è stato detto. Come se i vestiti o i fuoristrada per chi si difende da un’invasione non fossero una cosa umana o non servissero a salvare vite umane. Mi trattengo e non dico nulla alle signore che a casa producono le reti e i vestiti e cucinano i dolci per i loro difensori. Ma prometto a me stesso che ritornato in Italia troveremo qualcuno che finanzierà reti, veicoli e vestiti per i loro “eroi”.

Siamo a mani vuote e non possiamo promettere nulla. Loro non chiedono, ringraziano perché siamo venuti a fin qui ad incontrarli. Si sentono meno soli.

Giovanni Kessler

Daniele Torresan

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