DNIPRO – La cosa più pericolosa in una guerra è la distanza. Gli echi degli spari si esauriscono in poche centinaia di metri, i colpi di artiglieria vengono sparati per chilometri da persone senza volto su persone che non vedranno mai in faccia, e i missili volano per mezzo mondo per colpire nel loro modo psicopatico. Ma il terrore maggiore degli ucraini è la distanza dalle altre persone, l’essere lasciati da soli ad affrontare la tremenda aggressione coloniale della Russia. Per questo c’è una spinta spontanea da parte di tutti gli esponenti della società civile a condividere, a coinvolgere i visitatori, a raccontare la propria storia. Fanno la loro parte nel conflitto, ciascuno a modo suo. Artyom, funzionario del comune di Dnipro, la chiama Maidan ucraina: “A piazza Maidan a Kyiv abbiamo combattuto per dei diritti, oggi nella Maidan più grande combattiamo per la nostra libertà. Come allora, ciascuno fa la sua parte”.

Con gli studenti e i professori dell’Università delle Dogane di Dnipro

Succede nei modi più impensabili. Quando l’associazione trentina Eucraina è invitata a visitare l’Università delle Dogane e delle Finanze di Dnipro si trova accolta da un’istituzione affamata di contatti. Mentre fuori gli allarmi aerei suonano con inquietante regolarità i professori dell’università mostrano con orgoglio le proprie esposizioni storiche sui beni sequestrati dalle guardie doganali ucraine o sulle banconote della nazione. Un modo inedito ma efficace di raccontare la propria identità, perché ogni moneta racconta il proprio periodo, dai sovietici all’indipendenza. Con il calore che la città di Dnipro riserva agli ospiti, gli uomini dell’università conducono la delegazione di Eucraina a visitare le nuovissime stanze in cui si formano gli studenti e i rifugi in cui le persone si rimettono a lavorare dopo l’ennesimo allarme. “Dopotutto siamo in guerra”, commentano.

È il bisogno di connessione, soprattutto, a guidare queste persone. Il direttore del dipartimento strategico dell’università parla dei diversi progetti per creare legami con le università di mezza Europa, soprattutto nel settore delle dogane e delle forze dell’ordine. Proprio i legami con l’Europa sono il pretesto con cui la Russia si è lanciata nel suo progetto di cancellazione dell’identità e della stessa esistenza degli ucraini, e per una sorta di risposta istintiva gli ucraini stanno cercando di aprirsi il più possibile agli altri. Decidono loro chi sono e con chi vogliono avere a che fare.

Visita all’Università delle Dogane e delle Finanze di Dnipro – incontro con il direttore della commissione strategica

Altri pezzi della “Maidan Ucraina” sono nell’ospedale militare di Dnipro. Non si può dire il suo nome né la posizione per questioni di sicurezza, ma al suo interno la direttrice sanitaria Yulia e il chirurgo politraumatico Oleksander raccontano le decine di interventi chirurgici fatti ogni giorno su persone che arrivano dal fronte. Militari, ma anche civili che saltano su una mina o si trovano al posto sbagliato al momento sbagliato. Mostrano le camere operatorie in cui grazie a strumentazione a raggi x e a ultrasuoni, arrivata grazie a donazioni, riescono a individuare con molta più precisione i proiettili, e poi ringraziano due volte. Per i generatori arrivati dall’Italia: “In sala operatoria, venti minuti di energia in più fanno la differenza tra la vita e la morte”. Ma soprattutto per la sola presenza, per avere ascoltato la loro vita quotidiana di medici d’urgenza. Come se fosse parte integrante degli aiuti che dall’Italia cercano di giungere agli ucraini.

Visita dell’ospedale di Dnipro

Forse il personaggio che rappresenta meglio questa mobilitazione spontanea è Sasha. Falegname, il sorriso bonario dietro la barba e il fisico imponente, è fierissimo quando mostra la sua officina di falegname. Costruisce tavoli, sedie e altri mobili in legno di pioppo e olmo, mostra con orgogio quanto siano leggeri e resistenti. Ogni settimana va a Kherson con il suo furgone per portare aiuti e ha messo il suo capannone a disposizione della Difesa territoriale e del Comune di Dnipro, che lo usano per rimettere a nuovo dei mezzi militari recuperati in qualche magazzino prima di spedirli al fronte. Riempie di regali i visitatori e li porta a vedere il suo ufficio anche se non parla altro che il russo. Ma parlare in questo caso non serve: la sua storia è in tutto quello che fa, che fanno tutti quelli come lui.

Sasha con i suoi tavoli in legno
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