La spar(t)izione

Trump ha deciso che farà finire la guerra in Ucraina; la guerra che, ha dichiarato, non sarebbe scoppiata se lui fosse stato presidente tre anni fa. Ci pensa lui ora, ne ha già parlato con Putin e i suoi inviati hanno il mandato di chiudere un accordo con i russi entro poche settimane. Non c’è alcun segno di un piano, ma poco importa. Quello che conta per Trump è l’affermazione del suo potere, la sua narcisistica contemplazione. Non contano nulla le ragioni dei milioni di ucraini che soffrono sotto l’occupazione e dei milioni che attendono di ritornare alle loro case invase dai russi. Non è considerato il diritto al rispetto dell’integrità e dell’indipendenza di tutti i Paesi, su cui si fonda la pacifica convivenza dei popoli.

Due punti della nuova politica americana sono emersi con chiarezza durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Il primo è che l’Ucraina non è più vista come un alleato, ma come una colonia americana. Le umilianti discussioni sullo sfruttamento delle risorse naturali ucraine lo hanno chiarito fin troppo bene. Il secondo è che il conflitto sarà concluso con discussioni dirette tra gli americani e l’aggressore russo.

Con ucraini ed europei assenti da questi colloqui, Putin probabilmente otterrà ciò che vuole sulle questioni essenziali. Sarà trattato come un interlocutore legittimo, rimarrà impunito per i suoi crimini di guerra, otterrà guadagni territoriali dalla sua guerra di aggressione e potrà dettare i termini della politica interna ucraina. Celebrerà una vittoria e preparerà la prossima guerra, nella totale fiducia che non ci sarà alcuna resistenza da parte degli Stati Uniti. In altre parole, la Russia otterrà dalla diplomazia americana un potere che non avrebbe potuto ottenere sul campo di battaglia. Eppure, la guerra non sta andando bene per la Russia. Le sanzioni stanno funzionando e un crollo economico russo è visto come probabile quest’anno. Le perdite della Russia superano di gran lunga quelle dell’Ucraina e gli ucraini stanno diventando sempre più capaci di infliggere perdite senza mettere a rischio la vita dei propri soldati. Oggi, con Trump presidente, l’obiettivo russo diviene quello di far sì che gli americani si gratifichino per aver organizzato un armistizio, far sì che gli europei si ritirino confusi, che l’esercito ucraino si smobiliti e poi attaccare di nuovo. Non c’è alcun segno che la parte americana abbia intenzione di impedire questo.

Quella che Trump sta preparando con Putin non è una pace, è una spartizione. Non solo dell’Ucraina, ma del mondo. Un mondo in cui la forza fa la legge; su questo Trump e Putin parlano la stessa lingua.

Se l’Ucraina, dopo il tentennante sostegno di Biden, è ora trattata come una colonia da ricattare con la minaccia di non fornire più assistenza militare, le cose non vanno affatto meglio per l’Europa. È stata aggredita pesantemente dal vicepresidente Vance a Monaco.  Non è nemmeno considerata come interlocutore per decidere il destino di un conflitto che si svolge sulla sua soglia di casa. L’Europa, che ha fornito un considerevole sostegno militare ed economico all’Ucraina e che sta per accogliere quel Paese nella sua Unione, viene chiamata ora dagli americani solo a pagare il conto di un accordo preso senza la sua partecipazione. Dovrà rimediare ai danni fatti dai russi in Ucraina e garantire con i propri soldati i confini dell’Ucraina e dell’Europa tracciati da Trump e da Putin. Gli americani si preoccuperanno di estrarre le risorse naturali di quel che resta dell’Ucraina e lasceranno soli i Paesi europei a confrontarsi direttamente con la Russia quando questa, appena avrà ripreso le forze, tornerà a espandersi in Europa.

Una prospettiva reale, umiliante e disastrosa per l’Unione Europea. Che, costretta dalle scelte di altri, incapace di provvedere alla propria sicurezza e di garantire i diritti di pacifica convivenza tra i popoli, finirebbe per rendersi insignificante. È il momento delle decisioni fatali, ma i leader europei sembrano dei pugili intontiti dai pugni in faccia di Vance e dalle veloci decisioni prese dai nuovi imperialisti sulla loro testa: si mettono a discutere se incrementare le spese militari per gli eserciti nazionali, anche aumentando il debito pubblico nazionale; si dividono sull’impegno di inviare i propri soldati a garantire il (provvisorio) confine con la Russia, deciso senza di loro. Misure inutili, o addirittura pericolose.

Decidano gli europei di non voler essere i vassalli dei nuovi imperialismi riuniti. Dichiarino ora che continueranno a sostenere la resistenza ucraina all’imperialismo russo, con tutto il vigore e i mezzi necessari, usando per la sua difesa i 300 miliardi russi congelati nelle banche europee e applicando seriamente le sanzioni. Questo basterebbe già a mandare all’aria la spartizione dell’Ucraina, dell’Europa e del mondo, che altri stanno decidendo anche per loro. Si dotino di uno strumento di difesa europeo, l’unico efficace e certo meno costoso di 27 mini-forze armate, usando debito comune europeo. Decidano che per essere credibili e efficaci si deve saper decidere: la politica estera e la difesa europee hanno bisogno di una nuova governance europea, non paralizzata dalla necessità dell’unanimità. Se le nostre democrazie non sanno decidere o non si si sanno difendere, altri imporranno la loro forza, lo stanno già facendo. Allora non sarà solo la fine dell’Ucraina libera, ma dell’idea e dell’istituzione dell’Unione Europea. La fine delle democrazie liberali, sotto i colpi congiunti e ben mirati di oltre Atlantico e di Mosca. Non è un destino segnato, solo che si creda nei valori fondanti del nostro Paese e dell’Unione a cui apparteniamo. E alla necessità di difenderli, quando altri intendono distruggerli.

Giovanni Kessler

Presidente di EUcraina odv

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