In un sotterraneo occultato nel ventre di Kharkiv il sindaco Terekhov apre una porta: ci troviamo in una larga sala di controllo, dove gli operatori monitorano la città e lo spazio aereo circostante sui loro computer. Osserviamo la periferia nord della città sul grande schermo che copre la parete frontale, quando due icone rosse irrompono sui monitor. È una coppia di aerei russi in volo dalla regione di Belgorod. Dopo qualche minuto, a qualche decina di chilometri dal confine, le traiettorie divengono uncini: i bombardieri hanno effettuato una inversione a U e tornano indietro. Pochi istanti dopo appaiono due tracce più esili, proiettate verso la città: sono due bombe KAB, sganciate da un’altezza di 10.000 metri mentre i bombardieri ancora volavano nello spazio aereo russo, a circa 70 chilometri dal bersaglio. Gli operatori cercano di calcolare il luogo ed il momento dell’impatto per mobilitare le squadre di soccorso, mentre gli ordigni da 1.500 kg di esplosivo planano a 800 chilometri orari. Sullo schermo a parete la telecamera ingrandisce la zona su cui è previsto l’impatto, mentre un denso silenzio riempie la stanza. Pochi minuti dopo due colonne di fumo si alzano a macchiare la veduta della periferia. I soccorsi sono già sul posto; “questo è tutto quello possiamo fare: guardare e soccorrere le vittime” commenta mesto il sindaco.

Dall’inizio di quest’anno Kharkiv viene bombardata senza sosta con le KAB e con i missili S-300 sparati dal territorio russo, mentre l’esercito di Mosca avanza a stento a 20 chilometri dalla città. Le centrali di produzione di energia della seconda città dell’Ucraina sono state annientate, così 9.000 edifici residenziali, ospedali, negozi, asili. L’energia è razionata, di notte senza illuminazione pubblica la città resta immersa nel buio. Il GPS è stato messo fuori uso dalle autorità in tutta l’area metropolitana per evitare che raggruppamenti di civili vengano rintracciati e colpiti dall’aviazione russa.

Questa è la realtà ordinaria della seconda città dell’Ucraina: per le strade c’è meno traffico del solito e molte famiglie con bambini se ne sono andate, ma coloro che hanno scelto di restare tengono alto il morale di Kharkiv.

La città stringe i denti, sopravvive, vive e reagisce all’oppressione russa, che non è riuscita stroncare il coraggio dei cittadini. “Amiamo questa città!” dicono i tanti giovani che incontriamo, come Valeria, una cameriera di Luhansk che parla russo. Lei è venuta qui dopo l’occupazione, ma considera Kharkiv la sua casa: “non voglio che i russi mi portino via questa vita e la mia città”. Sembrano pensarla così anche i due giovani sposi che si fanno fotografare per le vie del centro dopo la cerimonia. “In una città che potrebbe essere occupata ogni giorno, alzarsi la mattina e vedere la bandiera ucraina che sventola ancora nella piazza principale mi dà sempre speranza” ci dice Katya, cittadina russa che ha lasciato Donetsk, dove viveva, dopo l’insurrezione fomentata dalle milizie moscovite nel 2014.

Katya ha fondato assieme ad alcuni amici Lyuk Media, una startup giornalistica per coprire l’attualità cittadina, sensibilizzare sui dibattiti comunali e pubblicizzare la ricca agenda di eventi culturali a Kharkiv. È lei che ci invita alla prima ‘Myna Mazaylo’, uno spettacolo teatrale che racconta le esilaranti avventure di un impiegato che nell’Ucraina sovietica decide di russificare il suo cognome. Il pezzo è stato scritto da Mykola Kulish, autore ucraino, militante comunista, fatto deportare e uccidere da Stalin nel 1937. Porta sul palco un inno alla libertà e alla cultura ucraina; una sfida alla paura, alla russificazione che oggi abbatte i palazzi e fa strage di civili. È quella stessa cultura che dà vita ad una solidarietà cittadina inesauribile: molti di quelli che non hanno preso le armi oggi sono al servizio della città e della comunità in modi alternativi. Ecco Viktor, giovane direttore di Nakypilo, un media locale fondato nel 2014 per rispondere alle ingerenze russe in città e contrastare la disinformazione. “Ad un certo punto documentare non mi bastava più” ci racconta, “quando l’artiglieria russa ha iniziato a spararci addosso nel marzo 2022, ho capito che prima dovevo soccorrere, e solo dopo scrivere e fotografare”. Viktor fa parte di un team di soccorritori volontari organizzati, che operano a chiamata, sul modello dei nostri vigili volontari. “L’aspetto più pericoloso del nostro lavoro sono i ‘double-tap’”: i russi spesso lanciano un secondo colpo nello stesso luogo poco dopo l’impatto del primo, per colpire i soccorritori.”

Yaroslav, un altro giovane volontario, va con la sua macchina quasi sulla linea del fronte per aiutare nelle evacuazioni di civili che devono lasciare la propria casa sotto il fuoco russo. “Prima della guerra studiavo per fare il direttore d’orchestra, a prestare assistenza medica ho imparato sul campo” spiega. Le unità di soccorritori come quella di Yaroslav operano con grande autonomia, per superare le lentezze burocratiche degli apparati statali; ci mostra la loro ambulanza, acquistata grazie alle donazioni dirette di una associazione tedesca. Poi ci porta al loro 4×4, l’unico veicolo con cui riescono a raggiungere le zone più impervie vicino al fronte. Su ogni lato del mezzo mostra le cicatrici degli shrapnel, le schegge che hanno bucherellato il telaio.

Così, con la cultura, l’impegno civico e il volontariato di soccorso i cittadini di Kharkiv reggono in questa quotidiana brutalità, animati da uno spirito comune, una dedizione continua alla comunità che resiste.

Siamo nella redazione di Lyuk, vogliono discutere con noi un caso di mala amministrazione e forse di corruzione nell’amministrazione comunale, che hanno sollevato nei mesi scorsi. All’improvviso arriva la notizia della distruzione con un missile americano Himars di uno dei lanciatori degliS-300 che martellavano Kharkiv dal suolo russo. È il primo risultato dell’eliminazione del divieto di uso di armi occidentali sul suolo russo. I ragazzi di Lyuk esultano, si abbracciano, hanno le lacrime agli occhi dalla gioia. La città tira un sospiro di sollievo. Adesso non deve più limitarsi a “guardare e soccorrere”. Contribuiamo ai festeggiamenti con spumante trentino e biscotti della Val di Sole. Quanto appaiono irreali e ipocrite, viste da qui, le discussioni sull’escalation e lo stop alle armi, in una città dove ogni lancia-missili russo distrutto oggi, equivale a decine di vite salvate domani.

Giovanni Kessler
Paolo Zurlo
di Associazione EUcraina odv

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