Chernihiv è una delle più antiche città dell’Ucraina, è menzionata in documenti storici di 1.200 anni fa. Nel suo periodo d’oro, otto secoli fa, competeva con Kyiv per potenza e ricchezza. Le numerose chiese, tra le più belle dell’Ucraina, testimoniano ancora oggi l’antico splendore. Nell’epoca moderna inizia il declino e nell’Ucraina indipendente Chernihiv non è altro che una città di provincia come tante. Fino al 25 febbraio di quest’anno, quando le truppe russe, entrate dalla vicina Bielorussia, cercano di prendere la città, che si trova sull’autostrada che, in poche decine di chilometri conduce a Kyiv. Passata Chernihiv, non vi è altro centro abitato o elemento naturale ove possa attestarsi una difesa militare. Oltre Chernihiv c’è la strada spalancata per raggiungere la capitale. Ma Chernihiv resiste e protegge così l’antica rivale Kyiv. 2.000 soldati ucraini, asserragliati in città, sostenuti dai civili della difesa territoriale, riescono a fermare la colonna dei 30.000 soldati russi, che con carri armati e di mezzi blindati punta dritta sulla capitale. La città è allora stretta d’assedio e bombardata. Rimane ben presto in gran parte senza energia elettrica e acqua corrente. Più della metà dei suoi 300.000 cittadini fugge sull’unico ponte che a sud la collega ancora all’autostrada per Kyiv e dallo stesso ponte cominciano ad arrivare rinforzi e aiuti per la sopravvivenza degli assediati. I russi bombardano qualunque cosa si muova, la città deve cadere e lasciare il passo per Kyiv. Il 25 marzo, un mese dopo l’invasione, riescono a far saltare quell’ultimo ponte. Chernihiv è tagliata fuori, ma continua a resistere. È su quella strada che in quei giorni trovano la morte Bogdan, 42 anni e due figlie, e Oleksiy.
Volontari dell’associazione 100% Life, con la loro auto fanno la spola più volte tra Kyiv e la città sotto assedio per portare viveri e evacuare civili. La loro auto è colpita da un colpo di mortaio russo, quando sono quasi arrivati al ponte. Come loro, allora come oggi, in Ucraina migliaia di volontari civili portano aiuto ai loro concittadini, a rischio della loro vita. I primi giorni di aprile l’esercito ucraino riesce a forzare l’assedio russo e pochi giorni dopo i russi si ritirano da tutta la regione. Chernihiv è liberata, e la sua resistenza ha salvato Kyiv. L’assedio russo alla città è costato la vita di almeno 700 civili, uccisi nei bombardamenti che non hanno risparmiato abitazioni, scuole, ospedali. Le infrastrutture essenziali della città sono state distrutte o danneggiate, così come tutta la zono industriale. Oggi, finiti i combattimenti, meno della metà degli evacuati è tornata nelle proprie case. Pesa ancora per molti la precarietà e l’incertezza del funzionamento dei servizi essenziali e delle condizioni di vita nell’inverno alle porte. Molti hanno perso il lavoro nelle fabbriche distrutte. E il confine con la Bielorussia e la Russia è sempre solo a pochi chilometri di distanza.
Ripercorriamo oggi la strada che, in ben altre condizioni, Bogdan e Oleksiy avevano percorso tante volte e su cui hanno trovato la morte. La giornata è cupa, il cielo gonfio di pioggia, i segni della guerra e della distruzione sono ancora evidenti. Grandi blocchi di cemento in mezzo all’autostrada obbligano le auto a pericolose gimcane ai posti di blocco, presidiati da soldati sospettosi. La grande arcata di acciaio del ponte fatto saltare dai russi è ancora deposta in mezzo al fiume e attorno ad essa e sui piloni vuoti si affannano sotto la pioggia decine di saldatori e operai con martelli pneumatici e enormi gru. Uno spettacolo drammatico. Passato il fiume con mezzi di fortuna, Chernihiv ci appare tranquilla, troppo tranquilla, con i suoi grandi viali ordinati, i ristoranti aperti, i parchi e i giardini ben curati, le cupole dorate delle sue chiese a testimoniare l’antico splendore. Poi, all’improvviso, troviamo gli edifici distrutti dai bombardamenti, come l’albergo Ucraina in pieno centro, da una violenza che sembra andare a casaccio. Il silenzio quasi mistico di una città che non ha ripreso a vivere del tutto è interrotto dalla lugubre sirena dell’allarme aereo. La guerra non è finita, si è solo allontanata. E continua, anche qui, a spargere il suo minaccioso messaggio di terrore.