Nei primi venti giorni dall’invasione Alina non riusciva a fermare il tremore alle mani. Ha lasciato casa
e si è unita ai compagni della sua e di altre associazioni che vivono in un edificio in periferia di Kyiv che funge da ufficio, da casa e da magazzino, con un grande scantinato dove passare le notti e rifugiarsi quando suona l’allarme. Prima della guerra si occupava della comunicazione dell’anticorruzione. Ora scrive testi e meme da piazzare sui social russi, aggirando blocchi e censura, per far vedere anche a loro gli effetti della guerra.

Insieme a lei, nel magazzino-rifugio, vivono le sue compagne dall’associazione anticorruzione Tonya e Tetiana. Hanno studiato economia, sono state all’estero, avevano un posto di lavoro ben remunerato nel settore privato, ma poi hanno deciso di impegnarsi a tempo pieno all’anticorruzione, la battaglia più importante per l’Ucraina. Dall’inizio della guerra si dedicano all’approvvigionamento e alla distribuzione di materiale per gli amici nella difesa territoriale, dal materiale di primo soccorso, alle radio, ai droni, ai visori notturni, tutto quello che serve per sopravvivere e difendere le loro case.

Luda e Olga, che fanno parte di un’associazione di aiuto sociale, si occupano invece delle medicine e dei viveri da distribuire nei villaggi vicino a Kyiv, devastati dai russi prima che venissero respinti dall’esercito e dalla gente. Vitaliy e Dima sono i giovani presidenti delle due associazioni. Il giorno dell’invasione, quando sembrava che la città avesse i giorni contati, assieme all’amico Oleksandr sono entrati nella difesa territoriale armata, hanno scavato trincee vicino alle case, costruito posti di blocco anche nelle vie del centro, e ora passano giorni e notti a pattugliare i boschi e le campagne intorno alla città.

Anche Bodya e Lyosha erano con loro. Tre settimane fa, quando i russi stringevano d’assedio la città, sono riusciti a evacuare un centinaio di persone intrappolate nei villaggi vicini, finché una raffica russa ha falciato la loro auto, uccidendo tutti gli occupanti. I loro due grandi ritratti, a colori già sfuocati, sono ora sulla parete del locale dove i volontari si trovano a consumare insieme i pasti.

In occasione della Pasqua ortodossa si sono unite al gruppo anche Dasha e Hanna, rientrate da Varsavia, dove si sono rifugiate con i loro bambini. La prima, manager dell’associazione anticorruzione, la seconda giornalista e nella scorsa legislatura presidente della Commissione Esteri della Rada, si dedicano al sostegno della causa Ucraina all’estero. L’intervento in cui Dasha un mese fa ha affrontato Boris Johnson in una conferenza stampa, implorandolo di imporre il blocco dei cieli sull’Ucraina è diventato virale sui media di tutto il mondo.

Hanno da poco passato una settimana a Washington per chiedere alla Casa Bianca, al Congresso e ai media di inviare all’Ucraina le armi che le servono per respingere l’invasione. Anche se in guerra e lontane da casa, non dimenticano da dove sono venute; e così, il lunedì di Pasqua ci hanno portato a piantare le patate per gli anziani di un villaggio liberato dai russi.
Otto anni fa, quando l’allora presidente Yanukovych, richiamato da Putin, si rimangiò la firma
dell’accordo di associazione con l’Unione Europea, Dasha, Hanna e gli altri scesero in piazza con la bandiera europea e non se ne andarono finché, quattro mesi dopo, il presidente scappò in Russia.

Kateryna, Anton e l’avvocato Roman inventarono allora un’associazione per portare con le auto la protesta fuori da Maidan, fino di fronte alle case dei corrotti del regime. Oggi con le loro auto visitano i villaggi che hanno subìto l’occupazione russa, incontrano gli abitanti e registrano testimonianze per inchiodare i responsabili dei crimini di guerra.
Nessuno di loro ha più di quarant’anni. Hanno lottato per un’Ucraina libera, moderna, europea,
libera dalla corruzione e dai retaggi sovietici. In questi anni non hanno risparmiato critiche ai
presidenti Poroshenko e Zelensky quando sono stati deboli nel riformare il vecchio sistema. Ognuno
di loro oggi partecipa alla resistenza popolare secondo le sue capacità. Difendono il loro Paese dai
soldati, dai panzer e dai missili di Putin, la sua libertà, il suo futuro, la sua scelta europea. Difendono la loro stessa vita; sanno bene di essere sulla lista delle persone che i russi fanno scomparire quando occupano le città.
Sono loro i nazisti da cui liberare l’Ucraina, secondo la propaganda di Putin. Sono loro che
dovrebbero combattere a mani nude, anzi, prendere atto di essere solo una “zona di influenza” russa e arrendersi per il loro stesso bene, invece di combattere “per procura” per gli americani, come declamano analisti nostrani privi del senso di realtà e di umanità.
Alina, Tonya, Tetiana, Luda, Olga, Vitaly, Dima, Oleksandr, Dasha, Hanna, Kateryna, Anton, Roman,
che abbiamo incontrato a Kyiv nella prima missione dell’associazione EUcraina, continueranno a
resistere, come Bodya e Lyosha. Sono convinti di vincere, ci hanno detto, perché loro sì che sono motivati, non l’invasore che si nutre di propaganda. Perché combattono per la libertà, la democrazia, lo stato diritto, i valori fondanti dell’Unione Europea. Per questo meritano la nostra solidarietà. Con le parole e con i fatti.

L’associazione #EUcraina è stata creata per questo.
Puoi contribuire a inviare aiuti ai resistenti ucraini donando una somma a “EUcraina”
IBAN IT48W0306909606100000187204
causale: “aiuto in Ucraina”
o cedendo fuoristrada o droni con telecamera anche usati, che invieremo a Kyiv.
Contattaci a: contact@eucraina.eu
Alina
Bodya e Lyosha

 

Colazione di Pasqua

 

Kataryna
Con Hanna a piantare patate
Partenza per il servizio sul campo
Tonya
Roman
Vitaliy, Tetiana e Tonya

 

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