Con le ultime donazioni a EUcraina siamo riusciti ad acquistare un piccolo insiemedi attrezzature mediche, da donare ai sanitari che ogni giorno salvano vite sul fronte ucraino nel Donetsk. “Qui la guerra si vive e combatte da dieci anni, ma mai fu intensa e brutale quanto oggi”. Così raccontano gli amici che ci ospitano a Sloviansk, e ugualmente confermano le porte a vetri dell’abitazione: un tremore soffuso accompagna il corpo della casa nell’imbrunire, ricordandoci dei ‘difensori’, i soldati ucraini a pochi chilometri da qui, cui nemmeno la notte risparmia il tiro dell’artiglieria. Nelle stesse ore si discute a Berlino e Washington dell’autorizzazione a colpire obiettivi in territorio russo, una questione decisiva per l’andamento del conflitto.

In mattinata raggiungiamo Družkivka, dove siamo accolti dal Luogotenente ‘Illich’, che ci porta al comando della compagnia medica per consegnare l’attrezzatura e conoscere il Maggiore Viktor. Il capo della base di sanitari ci riceve, senza sapere una parola di inglese, compensando con il calore della sua ospitalità e di un ottimo caffè italiano. Illich ci fa da traduttore, così spieghiamo la missione di EUcraina, e il Maggiore ringrazia i donatori che qui rappresentiamo. Che fin dall’Italia si porti loro un segno di solidarietà colpisce ancora questi uomini in guerra. Ci racconta della nuova durezza con cui si è affermata la guerra in questa primavera: le ‘bombe plananti’, ordigni che raggiungono fino a tre tonnellate di peso, sono l’arma più letale che i russi hanno sperimentato finora sulla loro pelle. Sono sganciate dall’aviazione dai 50 ai 90 km di distanza, dallo spazio aereo russo; annientano interi isolati senza nessuna possibilità di essere intercettate e abbattute. Viktor e Illich non si scompongono, “nessuno qui ha perso la speranza” ci dicono, “ma come possiamo sopravvivere a queste armi senza colpire i loro bombardieri, le piste di decollo ed i magazzini militari sul territorio russo?”. La lettura manichea del supporto all’Ucraina come una escalation non può che suonare paradossale osservando i volti di Illich e Viktor. Qui la guerra ha già superato ‘l’escalation’, non c’è un dibattito sulla legittimità di colpire obiettivi in Russia, perché qui essere colpiti, anche senza costituire obiettivi militari, è la quotidianità.  

Igor, un altro caposquadra conosciuto in precedenti missioni di EUcraina, ricorda: “quello che l’Europa promette per settimana prossima ci serviva il mese scorso”. L’indolenza dei rifornimenti europei non si misura solo nei metri conquistati dalle offensive russe, ma nell’intenzionale bersagliamento di civili inermi. L’esercito ucraino sta finendo le munizioni per i sistemi antiaerei forniti dai partner occidentali, e comunque nemmeno questi sarebbero in grado di fermare le bombe plananti. “Finché non potremo neutralizzare gli aerei militari sopra il territorio russo le nostre città resteranno dei bersagli inermi”.

Usciti dalla base della compagnia ci troviamo immersi in una surreale quotidianità: a Družkivka sentiamo e vediamo convivere la nozione acre del pericolo costante, forse in volo da est, con gli scorci di una comunità che non si è lasciata spezzare dalla sofferenza. Sotto il vecchio monumento di un Mig-19 due donne curano attentamente le aiuole di rose, degli anziani signori locali ci scrutano curiosi. In un bar affollato di militari di ritorno dal fronte, una cortese soldatessa con una treccia bruna ci offre il secondo caffé: “Nessuno qui ascolta più le sirene” ci racconta,  “perché se arrivi a sentire la sirena significa che non eri l’obiettivo”. La distanza dal fronte, 15 km, qui non lascia il tempo di rilevare missili, bombe plananti, droni, prima che questi facciano strage del loro bersaglio.

Tornati a Sloviansk, gli amici da cui siamo ospitati ci accompagnano a fare una passeggiata. Raggiungiamo al tramonto il ‘Lago no.14’, l’amico Andriy è nato a 100 metri da qua e in questo luogo ha passato tutta la sua vita. Sloviansk l’ha vista catturata e liberata, colpita e martoriata per dieci anni, ma “questa è la nostra casa, abbiamo combattuto da soli per otto anni, non la lasceremo ai russi”, racconta lui che è di lingua russa.

Poco lontano due ragazzini si arrampicano sulla porta senza rete di un campetto vuoto. “Le loro famiglie non hanno nessun luogo dove andare, perciò questi bambini devono crescere qui, al rumore delle bombe” dice Vitaliy. Camminando verso casa intravedo due mezzi di trasporto blindati nascosti sotto le foglie generose di un salice; a prima vista sembrano dei Lince italiani. Rammentano di una solidarietà che l’Europa può e deve portare a queste persone.

Quando apprendo che Washington e Berlino hanno ‘concesso’ di colpire obiettivi militari in Russia, non posso che ripensare alle testimonianze di Sloviansk e Družkivka, e al coraggio ucraino che non cessa di battersi per l’Europa.

Paolo Zurlo

Associazione EUcraina odv

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