Undici anni fa, all’indomani di Euromaidan, una folta delegazione della Commissione Europea si mise al lavoro a Kyiv per aiutare l’Ucraina sulla strada verso l’Unione. Dagli incontri con i protagonisti della rivolta, gli attivisti, gli esponenti politici e delle istituzioni una cosa risultò subito chiara: la corruzione sistemica era l’ostacolo principale per la democrazia, lo sviluppo economico e per la stessa accessione dell’Ucraina all’Europa. Non perché mancassero o fossero incapaci coloro che dovevano scoprire e punire la corruzione. Ma perché gli uffici investigativi erano usati dal potere politico, come strumento per garantire e proteggere un sistema dove la corruzione era al tempo stesso il prezzo per accedere e il carburante che lo faceva funzionare. Le indagini sulla corruzione servivano a colpire i nemici, mentre si tenevano gli occhi ben chiusi sugli affari di chi era parte del sistema. Il Servizio di Sicurezza Nazionale (SBU), dipendente dal Presidente, era l’efficientissimo strumento operativo; il Procuratore Generale, nominato dal Presidente e approvato dal Parlamento, era il potentissimo controllore e garante del sistema. Senza cambiare questa organizzazione del potere, ogni riforma anticorruzione era velleitaria o, peggio, finta. Fu così che nei difficili mesi dopo Euromaidan, in tanti incontri dei servizi della Commissione con parlamentari, governo e società civile, nacque l’idea di introdurre qualcosa di nuovo, di rivoluzionario, uno strumento che doveva scardinare le sicurezze del ben oliato sistema corruttivo: un ufficio investigativo indipendente, fuori dal controllo del potere politico.
Nacque così il NABU, l’Ufficio Nazionale Anticorruzione. La sua indipendenza, concetto sconosciuto nell’Ucraina post-sovietica, era garantita con le innovative modalità di nomina del suo capo: non era più la politica a scegliere, ma una commissione di esperti, nominati in parti uguali dal parlamento, dal presidente e dal governo. Tra essi, altra novità, c’era anche un internazionale, il capo dell’Ufficio Antifrode e Anticorruzione dell’Unione Europea. Così nei primi giorni del 2015, iniziammo la procedura di selezione del primo responsabile di un ufficio investigativo indipendente. Era il primo risultato concreto di Euromaidan, l’interesse e le attese erano enormi in tutto il Paese, tanto che tutte le riunioni della commissione furono trasmesse in diretta. Fu scelto il quasi sconosciuto Artem Sytnyc, ex procuratore, fuori dai giochi politici. Funzionò. In poco tempo, anche con il sostegno internazionale, riuscì a mettere in piedi dal nulla un ufficio di giovani, competenti e motivati investigatori.
I risultati non si fecero attendere: deputati, figli di ministri, alti funzionari, giudici, il capo del Servizio Fiscale sono stati indagati e accusati di corruzione e frodi. Perfino il presidente della Corte Suprema, cui il NABU trovò mezzo milione di dollari nel divano, risultò a capo di una rete che con la corruzione aggiustava i processi, fu. Con il NABU non ci sono più spazi di sicurezza e protezione dalle indagini per alcuno. La cleptocrazia cede il passo allo stato di diritto. Dopo l’investigazione, anche lo stadio dell’azione penale fu sottoposto alla stessa riforma. Si creò la procura specializzata e indipendente per i casi di corruzione (SAPO), sottratti così al controllo politico del Procuratore Generale. La resistenza del sistema si attesta allora sul terzo stadio, quello giudiziario. La sua riforma e pulizia dalle profonde radici di corruzione tra giudici e procuratori è ancora incompiuta, dilazionata in tutti i modi. I casi di corruzione evidenziati da NABU e portati davanti al giudice da SAPO, si incagliano così nelle sabbie mobili di processi che si perdono nel tempo e le sentenze faticano ad arrivare.
Negli anni non sono certo mancate pressioni o tentativi di limitare il potere di NABU e anche di licenziarne il direttore, ma le garanzie previste dalla sua legge istitutiva hanno tenuto e i tentativi di cambiarla non hanno mai avuto successo. Fino ad ora.