I vertici di Energoatom, l’agenzia ucraina cruciale per la sicurezza energetica del Paese, erano impegnati da tempo a estorcere tangenti dalle imprese a cui appaltavano lavori. Chi non pagava la “tariffa” del 10-15% restava fuori. Sono i primi risultati dell’indagine ‘Midas’ conclusa dall’Ufficio Nazionale Anticorruzione ucraino (NABU) e dalla Procura Nazionale Anticorruzione (SAPO) il 10 novembre scorso. Una storia di corruzione forse non sorprendente, in un Paese ex sovietico dove per tradizione le cariche pubbliche si usano per trarne profitto; certamente inaccettabile mentre l’Ucraina vive la sua peggiore crisi energetica e le centrali sono colpite dai bombardamenti russi. Ma le oltre mille ore di conversazioni intercettate e la lunga e accurata indagine mostrano qualcosa di ben più inquietante. Dietro ai manager corrotti vi era un un’organizzazione che raccoglieva le tangenti, provenienti non solo da Energoatom, ne decideva la spartizione e provvedeva al riciclaggio all’estero tramite società off-shore e con trasporti di contante. Secondo gli investigatori, almeno cento milioni di dollari di tangenti sono state gestiti dall’organizzazione, la cui sede a Kyiv era stata messa sotto controllo. Persona di spicco dell’organizzazione era Herman Halushchenko, Ministro dell’Energia, (da poco divenuto Ministro alla Giustizia) e coinvolto è anche Oleksy Chernysov, Vice Primo Ministro e ex Ministro dell’Unità Nazionale, non nuovo a indagini del NABU, che avrebbe ricevuto più di un milione di dollari per l’acquisto di una villa e per il pagamento di una cauzione giudiziaria. Quel che emerge è quindi è un’attività criminale gestita da personaggi di governo che si servivano dei manager da loro nominati e controllati. Ce n’è abbastanza per uno scandalo politico di prima grandezza, ma non è finita. Dalle conversazioni intercettate emerge che il capo dell’organizzazione è Tymur Mindich, imprenditore, co-fondatore nel 2003 con Volodymyr Zelensky di ‘Kvartal 95’, la casa di produzione televisiva e cinematografica che ha portato al successo l’attore e poi il politico Zelensky. Mindich decideva la distribuzione dei soldi, dava le indicazioni sulle nomine e su come contrastare le investigazioni. Ha lasciato l’Ucraina in tutta fretta, nel cuore della notte, quattro ore prima che gli investigatori arrivassero alla sua abitazione.

Questa storia nera contiene una buona notizia e allo stesso tempo solleva interrogativi inquietanti.
La buona notizia è che i due uffici indipendenti anticorruzione, NABU e SAPO, nati dalla spinta della Rivoluzione della Dignità, dimostrano ancora una volta di saper lavorare con professionalità ed efficacia, senza farsi intimidire. Grazie a loro, in Ucraina oggi chi corrompe può essere scoperto e chiamato a risponderne, qualunque posizione di potere ricopra. Questo fa la differenza tra una democrazia, come l’Ucraina, dove vige il principio di legalità e della responsabilità di fronte al popolo, e le autocrazie, le dittature e le cleptocrazie.
L’interrogativo, inevitabile, pesante come un macigno, riguarda il ruolo del Presidente.
Dalle indagini non emerge nessuna indicazione che Zelensky sia coinvolto nel sistema delle tangenti. Il punto, però, non sono le sue responsabilità penali. Il punto è da che parte decide di stare il presidente dell’Ucraina. Dalla parte di chi corrompe e si arricchisce mentre il Paese combatte per sopravvivere? Oppure dalla parte di chi indaga, denuncia e smantella la corruzione?
Fino a oggi, purtroppo, Zelensky è stato – consapevolmente – dalla parte sbagliata.
Basta ricordare l’operazione del luglio scorso: intimidazioni, campagne diffamatorie, perquisizioni contro attivisti anticorruzione e investigatori del NABU, orchestrate dalla parte politica dei servizi (SBU), che risponde direttamente al governo. L’arresto da parte dell’SBU di Ruslan Magamedrasulov, l’investigatore del NABU che stava conducendo l’indagine Midas e su Chernysov: lui e suo padre sbattuti in prigione per un presunto commercio di canapa con una regione russa — un’accusa ridicola, basata sul nulla, ma sufficiente a fermarlo. E infine, l’operazione “Liquidazione del NABU” del 21 e 22 luglio, quando Parlamento e Presidente in poche ore hanno cambiato la legge per mettere NABU e SAPO sotto controllo politico e per fermarne le indagini. Solo la mobilitazione dei cittadini ha costretto presidente e parlamento a una rapida marcia indietro. Oggi non avremmo l’indagine “Midas” senza la mobilitazione della piazza.
Da allora la pressione non è cessata: si è fatta più subdola. Il capo del SAPO è stato preso di mira da una campagna di denigrazione e il Procuratore Generale aveva già parlato di una sua sostituzione. I procedimenti penali contro attivisti anticorruzione, l’investigatore NABU e il padre si trascinano di rinvio in rinvio, mentre loro restano in carcere. L’indagine Midas ha rivelato che il gruppo di Mindich era informato dei movimenti degli investigatori e possedeva dossier sui loro casi.
Ora Zelensky deve scegliere. Può cercare di salvare il salvabile di un sistema amicale, con cui ha gestito decisioni e nomine più importanti della sua amministrazione. O scegliere fino in fondo la strada della democrazia. Per far questo, dovrà fare piazza pulita di amici corrotti, sostenere le istituzioni che lavorano per la legalità e porre fine a intimidazioni e ostacoli al loro lavoro. Non basterà sospendere o rimpiazzare qualche ministro o dirigente colpito dalle indagini. Vanno azzerate le nomine dei loro fedelissimi, piazzati nei gangli vitali delle istituzioni; i vertici della Procura Generale e dell’SBU, che si sono fatti strumenti di lotta contro le indagini anticorruzione, vanno sostituiti con persone indipendenti, scelte secondo le capacità, non per la fedeltà; va allontanato il consigliere del Presidente, Andriy Yermak, regista della guerra agli investigatori e della protezione dei corrotti.
Non c’è spazio per ambiguità o temporeggiamenti. Zelensky dovrà trovare il coraggio del giorno dell’invasione russa, quando decise di rimanere a Kyiv a combattere per la resistenza. La sfida di oggi non è da meno. La posta in gioco è la fiducia degli ucraini nel Presidente e nelle istituzioni e la credibilità internazionale dell’Ucraina. Beni indispensabili in un Paese che si appresta ad affrontare un quarto inverno di guerra e la cui sopravvivenza dipende dagli aiuti dei Paesi alleati.