Il 25 giugno 1995 Alexander Langer, in un testo intitolato L’Europa muore o rinasce a Sarajevo, scriveva: “Basta con la neutralità tra aggrediti ed aggressori, apriamo le porte dell’Unione europea alla Bosnia!” A seguire, Langer raccontava un incontro con l’allora presidente francese Jacques Chirac: “al nostro appello risponde che sì, liberare Sarajevo dall’assedio è una priorità, ma che non esistono buoni e cattivi, e che non bisogna fare la guerra. Ci guardiamo, la deputata verde belga Magda Aelvoet e io, entrambi pacifisti di vecchia data: che strano sentirsi praticamente tacciare di essere guerrafondai”.
A quasi 30 anni di distanza possiamo dire che davvero poco è cambiato. Chi nella mattina di venerdì 10 maggio si è trovato a Roma, alla conferenza stampa di presentazione dell’appello Il futuro dell’Europa passa da Kiev, ha immediatamente capito che oggi al posto della Bosnia c’è l’Ucraina e che l’Unione Europea si trova davanti alla stessa sfida: rinascere o morire di fronte alle urgenze della Storia. Una sfida che la politica italiana si guarda bene dal cogliere, intenta com’è a trasformare le elezioni del nuovo Parlamento europeo in un grottesco talent show in cui misurare il proprio grado di popolarità. Dei problemi giganteschi che ci attendono – la guerra e il cambiamento climatico su tutti – sembra importare davvero poco.
L’appello, già sottoscritto da intellettuali come Adriano Sofri, da importanti esponenti del mondo cattolico, laico e liberale, e da esponenti politici di diversi partiti, si rivolge a tutti i candidati alle prossime elezioni europee chiedendo loro di assumere una posizione chiara di sostegno all’Ucraina e al suo percorso di adesione all’Unione Europea.Nella proposta si inquadra anche un viaggio a Kyiv, che si terrà tra il 28 e il 30 maggio prossimi a ridosso dell’appuntamento elettorale. L’iniziativa è promossa da quattro realtà espressione della società civile: Project MEAN – Movimento Europeo di Azione Non violenta; EUcraina, organizzazione di volontariato con sede a Trento; l’associazione culturale Comitato Ventotene; l’associazione Ponte Atlantico. Difesa, Libertà, Democrazia, con base a Milano.
A presentarla, quattro profondi conoscitori della realtà ucraina: Angelo Moretti per Project MEAN con Marianella Sclavi,studiosa riconosciuta a livello internazionale di gestione creativa dei conflitti; per EUcraina Giovanni Kessler, magistrato e membro dal 2014 membro dell’Agenzia anticorruzione dell’Ucraina; Luigi Troiani, docente di Relazioni internazionali e Politica e storia delle istituzioni europee alla Pontificia Università Angelicum.
L’Europa, non la NATO
Se il dibattito pubblico verte molto sulle responsabilità e sul ruolo della NATO nell’attuale conflitto, gli interventi di Moretti, Kessler e Troiani hanno riportato l’attenzione sulla vera radice della guerra, ricordando come l’aggressione russa sia iniziata nel 2014 dopo la serie di manifestazioni popolari di “Euromaidan”, che – al prezzo di centinaia di morti e feriti – arrivarono alla destituzione del governo di Viktor Janukovyč, che aveva abbandonato le trattative per gli accordi di cooperazione con l’UE (e che da allora vive in Russia).
L’Europa, dunque, non la NATO,è l’orizzonte storico degli ucraini, incompatibile con la politica dichiaratamente neoimperialista della Russia di Putin. Un orizzonte ancora ben saldo per gli ucraini, che resistono sventolando la bandiera europea, quando il sostegno dell’UE è stato e continua a essere tentennante e poco credibile. Il momento richiederebbe invece la stessa audacia visionaria che ha animato i fondatori, come ha ricordato Marianella Sclavi.
La normalità di Kharkiv e la concretezza della pacificazione
Lontani da un pacifismo di slogan e attenti piuttosto alla concretezza storica e pratica dei processi di pacificazione, gli interventi hanno ben chiarito i contorni della situazione nei suoi snodi più importanti. Innanzitutto, si è ricordato come una pace giusta tenga conto delle aspirazioni di entrambe le parti, che possono essere considerate solo se si crea una situazione di equilibrio. Da questo punto di vista, due elementi sono cruciali: (1) la deterrenza nucleare continua a rimanere valida per tutte le parti coinvolte; (2) le regole d’uso degli armamenti stanno costringendo gli ucraini a una guerra asimmetrica: non solo hanno poche armi e truppe, ma combattono con le mani legate (e pure continuano a resistere).
Si è chiarita inoltre la strategia russa, che prevede l’occupazione, oppure – quando questa non è possibile – lo “svuotamento” dei territori attraverso il bombardamento di intere città, letteralmente rase al suolo, e la compromissione delle infrastrutture fondamentali, a partire da quella energetica. Una strategia, quella del “fare un deserto e chiamarlo pace”, di vecchia data, che sta ulteriormente accelerando lo spopolamento di molte zone dell’Ucraina e il crollo demografico generale, e che determinerà sul lungo periodo la scomparsa nei fatti dell’esercito e dello Stato ucraino.
Lo si vede bene in questi giorni non sul fronte, ma a Kharkiv, la seconda città ucraina (quasi 1,5 milione di abitanti nel 2021), sotto bombardamenti pesantissimi: come se Milano venisse metodicamente rasa al suolo, centro storico compreso. E proprio da Kharkiv è arrivata la testimonianza della responsabile locale dell’Associazione Internazionale della Carità di san Vincenzo de Paoli: “è tutto normale”, ha scritto. Resistono, come sempre, tirando avanti la vita quotidiana alla meglio perché questo possono fare: restare. Un messaggio che andrebbe ascoltato e che permette di superare l’assurda equazione tra invio di armi e presunto antipacifismo: oggi le armi servono a difendere quella signora di Kharkiv, che non ha certo bisogno di ricevere lezioni sulla non violenza.
Oggi, in Ucraina, o si passa dalla parte dei russi, oppure si va via: chi alza le mani davanti ai carri armati non verrà risparmiato, come moltissimi casi hanno dimostrato da due anni a questa parte. Un dato piuttosto semplice, che molti sembrano non avere colto.
Le tappe che i promotori hanno dunque tracciato per i futuri eurodeputati sono chiare: (1) sostegno pieno al percorso di adesione dell’Ucraina all’UE; (2) sostegno pieno e concreto alla difesa militare e civile della popolazione ucraina; (3) creazione di una difesa comune europea, più efficiente e meno costosa degli attuali eserciti nazionali, e istituzione dei Corpi Civili di Pace, secondo il progetto già di Alexander Langer. Spetta ai candidati decidere se continuare a parlare d’altro.