Prospettive sul terzo anno di guerra – parte 2


Giovanni Kessler propone la sua analisi ora che la guerra ha fatto irruzione anche sul suolo russo

L’AZIONE DI KURSK.

 (Sumy, Ucraina). In una situazione militare e strategica molto difficile, il 6 agosto scorso, centinaia di soldati ucraini passano il confine nord della regione ucraina di Sumy ed entrano in territorio russo, incontrando ben poca resistenza. In dieci giorni più di 10.000 soldati ucraini, appoggiati da mezzi corazzati sono penetrati per 35 chilometri nella piana a sud della città di Kursk e occupano ora più di 1.000 km quadrati e 28 insediamenti. È la prima invasione del suolo russo dopo la Seconda guerra mondiale. Ufficialmente non molto si sa di quanto sta realmente avvenendo e ancor meno di quali sono gli obiettivi, i risultati attesi e le conseguenze di questa azione. Possiamo però mettere alcuni punti fermi: è un’operazione militare ben pianificata e organizzata in ogni dettaglio e in segretezza per sfruttare l’effetto sorpresa. L’Ucraina ha investito nell’azione le migliori brigate a disposizione, quelle con gli uomini meglio addestrati e dotate dei moderni mezzi corazzati occidentali. Risorse preziose e rare: se oggi cedesse il fronte orientale non ci sarebbero le forze per tamponare. Da un punto di vista tattico l’azione è stata ben condotta e ha avuto successo: dopo più di dieci giorni, i russi non sono stati ancora in grado di respingerli e nemmeno di fermarne l’avanzata.

Quali sono le ragioni, quali gli obiettivi dell’azione di Kursk e le possibili conseguenze sull’andamento della guerra? Come si può valutare se l’azione abbia avuto successo?

Sgomberiamo intanto il campo da equivoci e propaganda. L’azione di Kursk non è un tentativo di annessione territoriale, l’Ucraina non ha alcuna volontà, né alcun interesse in questo senso, come anche il presidente Zelensky ha dichiarato. È un’azione militare di legittima difesa di un Paese aggredito contro l’invasore.

Il successo ottenuto fin qui solleva il morale di tutti gli ucraini in un momento difficile. Ancor più, costituisce un’umiliazione per il dittatore del Cremlino, dimostratosi incapace di difendere il suo territorio e i suoi cittadini. I mille soldati russi catturati sono certamente un buon bottino per uno scambio e questo riaccende la speranza di molte famiglie ucraine di rivedere i propri cari.  Sono i primi risultati ottenuti dall’azione di Kursk. Certo non bastano a giustificare l’investimento e non ne costituiscono l’obiettivo finale.

Sul piano militare, l’alleggerimento della situazione del Donetsk, inducendo i russi a spostare a Kursk le truppe da quel fronte, è sicuramente l’obiettivo strategico più interessante, ma difficile da ottenere e ancor più da mantenere. Putin e Gerasimov hanno sì dovuto richiamare truppe meglio attrezzate per tamponare l’avanzata ucraina, ma stanno ben attenti a non indebolire il fronte del Donetsk per non perdere la posizione di vantaggio che hanno lì acquisito. Per il momento, il grosso delle truppe spedite in fretta e furia nella regione di Kursk proviene da altre zone di frontiera, diverse da quelle in cui si combatte. Difficile dire oggi se e fino a quando i russi riusciranno nella manovra di tamponare Kursk e mantenere l’iniziativa nel Donetsk. Per ora, l’Ucraina continua lì a patire, l’effetto di alleggerimento non si è affatto percepito.

Si è parlato e si parla di altri possibili obiettivi militari dell’avanzata ucraina in territorio russo. La città di Kursk, sacra alla memoria dei russi, ma la sua occupazione sarebbe difficile, costosissima e poco utile dal punto di vista tattico. Non siamo in vista di una riedizione dell’epica battaglia di Kursk, non ci sono le forze. La vicina centrale nucleare, una delle più grandi della Russia, sarebbe un bottino non da poco, pareggerebbe il conto della centrale di Zaporizhzhya. Anch’essa però non è un obiettivo realistico, troppo lontana, ben difesa e non aggredibile con combattimenti tradizionali (Zaporizhzhya fu difesa solo dai suoi operai disarmati e presa dai russi senza sparare un colpo). L’esercito ucraino ha preso il controllo del nodo di Sudzha del gasdotto che porta il gas russo in Europa; quel poco che ancora l’Europa importa, principalmente per Austria e Ungheria. Si è speculato molto sul fatto che l’Ucraina ora potrebbe chiedere il rubinetto del gas o usarlo come arma di ricatto verso due Paesi non proprio amici. Non succederà nulla: l’Ucraina non ha nessun interesse a ricattare Paesi UE, ma soprattutto a danneggiare se stessa, perdendo le sostanziose royalties per il passaggio sul suo suolo di quel gasdotto. Sì, sul suo suolo; quindi, se avesse voluto chiudere quel rubinetto non avrebbe avuto bisogno di scomodarsi a invadere Sudzha. Non è quello un obiettivo dell’azione di Kursk.

Un obiettivo alla portata degli ucraini, e in parte già raggiunto, è l’interruzione delle linee di collegamento stradali e ferroviarie utilizzate dai russi per i rifornimenti alle loro truppe, in particolare sul fronte di Kharkiv. Un buon risultato, certo, ma non tale da rovesciare le sorti della guerra. Come tutti gli altri che abbiamo considerato.

Sul piano strategico si deve poi considerare che l’esercito ucraino ha già raggiunto una notevole estensione della sua linea di penetrazione; presto non avrà le forze di spingersi oltre e di mantenere le sue truppe su un territorio così vasto. Per evitare di essere circondato o distrutto dovrà ritirarsi o fortificarsi su posizioni difensive, non facilissime da costruire e da tenere su queste vastissime pianure.  

Bastano gli effetti morali, i limitati obiettivi raggiunti e quelli possibili a giustificare l’investimento ucraino e il grave rischio di perdere le migliori unità? Certamente no. E infatti gli analisti ancora si chiedono quale sarà l’obiettivo finale e i patrioti ucraini in tutti i Paesi sognano chissà quali esiti e sorprese.

Zelensky e Syrsky non sono degli ingenui e questa operazione non è un colpo di testa. È stata ben calcolata, i suoi rischi considerati e accettati. Allora per capirne le vere ragioni e obiettivo bisogna fare un passo indietro, e guardare altrove, fuori dall’Ucraina.

Giovanni Kessler

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