Prospettive sul terzo anno di guerra – parte 1

Giovanni Kessler propone la sua analisi ora che la guerra ha fatto irruzione anche sul suolo russo

IL FRONTE

(Pokrovsk. Regione di Donetsk). Niente di nuovo sul fronte orientale. Le case hanno la stessa aria dimessa e cadente di mesi fa, le strade piene di buche sono percorse quasi solo da auto scassate piene di militari in rotazione; i civili rimasti qui hanno un’aria stanca, di attesa. Un’atmosfera ben diversa da quella incontrata nelle missioni di EUcraina dei mesi scorsi. Dalla perdita di Avdiivka nel febbraio scorso, il fronte si avvicina lentamente, continuamente. Sei mesi fa era a più di 40 chilometri, ora si combatte a meno di 13 chilometri da qui. Lo si vede nella gente, lo si sente, di giorno e di notte, nel brontolare dell’artiglieria, ormai a portata della città. Già si parla di evacuazione dei civili, molti si stanno già preparando. Gli abitanti del Donetsk, i russofoni, scappano di fronte ai russi che, secondo i propagandisti russi e nostrani, sono venuti a liberarli dal giogo ucraino. “Non abbiamo paura delle bombe; abbiamo paura che i russi arrivino qui!” mi dicono, in russo, Vitaliy e Larisa, come tanti altri, mentre preparano bagagli e provviste.  

La situazione non è diversa su tutto il fronte del Donetsk, da Vuhledar, a sud, a Chasiv Yar, strategico punto elevato, quasi perso dagli ucraini, fino a Kramatorsk, il capoluogo, e più a nord a Kupiansk.  Solo Kharkiv tiene ancora abbastanza bene. I russi hanno concentrato qui nella regione del Donetsk i loro sforzi offensivi e mantengono l’iniziativa. Gli ucraini resistono accanitamente, il fronte è ben lontano dal cedere, ma non possono fare altro che rallentare e rendere costosa la costante avanzata russa.  

Due sono gli elementi che giocano a favore dei russi e ne consentono l’iniziativa. Il primo è la elevata disponibilità di uomini da gettare nella battaglia e la completa indifferenza al costo delle perdite umane. I loro soldati sono mandati all’attacco letteralmente camminando sui compagni caduti davanti a loro, come mi raccontano i soldati ucraini. In questo nulla è cambiato nella tradizione dell’esercito imperiale prima, quello sovietico poi e l’esercito putiniano. Su questo piano l’Ucraina non può competere. I suoi soldati – anche in questo caso, come da tradizione – sono più forti, migliori combattenti e in questa occasione, ben motivati. Ma gli ucraini non hanno né i numeri, né il cinismo dei russi, non possono permettersi di gettare truppe nel tritacarne. Anche se le perdite ucraine sono nettamente inferiori di quelle russe, l’attrito di questa guerra si fa sentire pesantemente. La rotazione delle truppe ucraine al fronte è divenuta più lenta, la fatica di chi combatte maggiore. Per rimediare a questa situazione non c’è che una strada, difficile e costosa; ricorrere alla leva obbligatoria, diminuendo anche l’età di arruolamento. Una strada che l’Ucraina ha intrapreso da poco, approvando una nuova legge sulla coscrizione. I benefici si potranno vedere solo l’anno prossimo: i soldati di leva vanno reclutati, opportunamente addestrati e equipaggiati. Nel frattempo, chi è al fronte in trincea deve restarci e resistere.  

Il secondo elemento di vantaggio dei russi è nell’armamento. Da poco gli ucraini hanno superato la pesante mancanza di munizioni (specie di artiglieria), dovuta allo stop delle forniture americane e europee nello scorso inverno e primavera, che è costata innumerevoli vite di soldati e civili lasciati alla mercè dell’artiglieria russa. Ma dalla fine dello scorso anno i russi fanno un largo uso di un’arma semplice e micidiale, che ha effetti devastanti sugli obiettivi fissi anche ben fortificati e che consente loro un notevole vantaggio strategico. Si tratta delle famigerate KAB, bombe plananti da 500kg a 3 tonnellate di esplosivo ciascuna, rilasciate da aerei a grande altitudine e a una distanza anche di 70-90km dall’obiettivo. In questo modo gli aerei russi possono colpire rimanendo indisturbati sul loro territorio. Una volta lanciate, le KAB non si possono intercettare o fermare in alcun modo. Per difendersi si deve impedire agli aerei di lanciarle, colpendoli in volo o nelle loro basi. Si potrebbe fare, gli aerei adatti in Ucraina ora ci sono (pochi), i missili per distruggere i bombardieri nelle loro basi anche. Ma dovrebbero colpire ben all’interno del territorio russo (e del suo spazio aereo) e questo non è permesso agli ucraini dai Paesi che hanno loro fornito gli aerei e i missili a lunga gittata, primi fra tutti gli Stati Uniti. Discuteremo poi i motivi di questa proibizione che costringe gli ucraini a combattere con un braccio legato dietro la schiena. Qui ci limitiamo a constatare che questa decisione politica consente un vantaggio strategico decisivo che i russi non esitano a sfruttare in pieno.  

Se così stanno le cose, quali sono le prospettive per l’Ucraina, come si può cambiare il gioco? “Resisteremo a oltranza, anche se non abbiamo aiuti; non abbiamo altre opzioni”, dicono con gli occhi stanchi i soldati ucraini che incontro.   

La soluzione è politica; è a quel livello che si decide come far finire la guerra. Se l’Ucraina riceve armamenti sufficienti e l’autorizzazione a usarli anche sul territorio russo, l’equilibrio del conflitto può cambiare rapidamente, la sconfitta dell’invasore russo si fa una prospettiva reale e una giusta negoziazione che ponga fine all’occupazione russa diviene inevitabile. L’invasione si ferma solo quando Putin capisce che i suoi sforzi militari non portano a nulla, perché il sostegno militare degli alleati all’Ucraina è pieno, duraturo e senza condizioni. Questa decisione non è stata mai presa. L’aiuto militare occidentale è fornito in quantità insufficiente e in ritardo, mesi e mesi dopo le richieste. Le vicende dei pochi aerei F-16 o dei moderni tank ricevuti dopo mesi di rifiuti sono esemplari. “Sempre poco e tardi. Sufficiente perché l’Ucraina non collassi, ma mai abbastanza perché la Russia sia sconfitta”, ripetono i miei interlocutori ucraini. È difficile dare loro torto. Guardando ai fatti con la giusta distanza, questa situazione appare frutto di una strategia ben calcolata, non di incapacità, svogliatezza o inefficienza. Teniamolo presente, quando analizzeremo le ragioni dell’invasione ucraina della regione di Kursk. 

Giovanni Kessler

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